Cultura e storia

Fin dall’antichità l’attenzione dell’uomo, nell’area Aventino-Medio Sangro, è stata attratta dai grandi affioramenti rocciosi isolati che emergono dalle argille. Questi vengono indicati con nomi antichi di origine latina o prelatina: pesco, morgia, morrone, morrecine, fischie, pizzo, penna o liscia. La loro posizione insolita, l’aspetto caratteristico, l’imponenza, trovano una spiegazione popolare nel mito. In particolare in quello di Sansone, il guerriero biblico dalla forza sovrumana. Fu proprio Sansone a trasportare la Morgia di Gessopalena nella posizione attuale, strappandola dalla Majella. L’eroe del popolo d’Israele, caricata sulle spalle l’enorme pietra calcarea, con un balzo poderoso la collocò nella posizione attuale, successivamente cercò di abbatterla lasciando il segno del suo ginocchio stampato nel masso. Le sue orme, o quella del suo cavallo, vengono ancora ravvisate in due affioramenti rocciosi che si fronteggiano lungo la valle dell’Aventino: Pietra Sansone, a Lama dei Peligni, e il masso su cui è costruita la chiesa cinquecentesca della Madonna delle Rose, a Torricella Peligna. Fino a qualche decennio addietro, secondo il Verlengia, il giorno della festa della Madonna, le genti del posto si recavano presso l’ormai leggendaria per ammirarla e devotamente baciarla. Anche l’Aventino ha un’origine leggendaria e singolare, infatti il fiume nacque da un’abbondante minzione di Sansone. Proprio lungo questa valle si concentrano i tanti affioramenti rocciosi conosciuti come “pietre di Sansone”. Sempre nel territorio di Gessopalena, un masso viene individuato come la “Sedia di Sansone” per l’incavo artificiale sulla sommità, probabilmente un antico sarcofago del periodo classico. La persistenza della figura di Sansone nella vallata dell’Aventino costituisce la continuazione storica del mito di Ercole, divinità pagana il cui culto era praticato in zona nel periodo pre-cristiano, in virtù del suo legame con il mondo pastorale. Il mito dell’eroe greco è stato trasposto anche in altre figure “guerriere” care alla tradizione cristiana come quella dell’Arcangelo Michele, il cui culto viene praticato in diverse grotte del versante orientale della Majella, e persino nella figura di San Martino di Tour a cui la tradizione popolare attribuisce l’apertura delle impressionanti gole di Fara San Martino tra le rupi della montagna dove ancora oggi si ravvisano i segni dei suoi poderosi gomiti. Tra Taranta Peligna e Lama dei Peligni, ai piedi della montagna, si stagliano le “Pupe”, aerei e slanciati affioramenti calcarei dalle sembianze di gigantesche bambole, in passato considerate anche monumenti megalitici o idoli preistorici. Sotto l’abitato di Colledimacine, che deve il suo nome alle antiche cave di calcare per macine da mulino, si localizza un altro masso imponente ed isolato carico di una sinistra leggenda. Proprio qui, su Piano della Corte, nei tempi antichi venivano gettati i vecchi, ormai non più abili e di peso per la società. Sui tanti massi alloctoni che segnano le colline argillose della colata gravitativi dell’Aventino-Sangro, nel Medioevo furono costruiti molti centri, in funzione delle caratteristiche difensive dei luoghi. Tanti di questi paesi arroccati come nidi d’aquila, sono arrivati fino ai nostri giorni, altri furono abbandonati nella seconda metà del Trecento a seguito della grande pestilenza di cui parla anche Boccaccio. Altre espressioni dialettali legate alla litologia e geomorfologia dell’area presentano un certo interesse linguistico. È il caso del termine sutre, che in zona individua la marna, la cui origine etimologica va ravvisata nella radice linguistica indoeuropea sutro dal significato di terreno sterile. Le espressioni che individuano le numerose frane e colate nell’ambito delle argille vengono raccolte sotto la voce vernacolare lamature dal latino lama, terreno umido o franoso. Le aree argillose sterili e di colore scuro sono conosciute, invece, come pulline, voce che ha le sue radici nel latino pullum, termine probabilmente mutuato dalla lingua osca, riferito sempre a suoli e terreni di colorazione nera. Di incerta etimologia è il sostantivo cerretana che nell’area individua in maniera generica i terreni argillosi. Esso potrebbe derivare dal greco antico keramos, voce che indicava l’argilla per i vasi, oppure avere il significato di terreno idoneo per la crescita dei boschi di cerro.